Intenzionalità della coscienza
07
Lug

Intenzionalità della coscienza, corpo ed essere, Merleau-Ponty

Essere e sentirsi situati nel mondo, il sentire il proprio corpo, la propria posizione e il proprio desiderio, così come le proprie intenzioni e le proprie possibilità, sono gli elementi fondanti di ogni soggettività.
La struttura cognitiva di integrazione globale di questo “sentirsi” e di questo “esserci” è la coscienza.

Gli studi sulla coscienza sono da tempo al centro degli studi sulla mente. Le prospettive sono molteplici e spesso in apparente disaccordo. Fenomenologia, filosofia analitica, neuroscienze e psicologia cercano disperatamente un legame. Legame sul quale indagano le odierne scienze cognitive, nel loro sguardo “tra le discipline e dentro di esse”.

Alcuni filoni fenomenologici delle neuroscienze propongono la coscienza come un correlato neuronale globale, con modelli del sé e modelli del mondo, in cui l’Io ne è “semplicemente” una proprietà complessa. In altre parole, queste nuove prospettive delineano l’esperienza fenomenica della nostra realtà come una simulazione “trasparente” e quindi invisibile a noi stessi che ne siamo i simulatori. Simulatori di mondi e di io virtuali, virtuali “in atto” (in senso filosofico virtuale significa “in potenza” ma non “in atto”). Prospettive che sono difficile da afferrare perché sono radicalmente controintuitive, troppo distanti dalla nostra percezione, talmente sono nuove, originali e negli a priori delle nostre macchine-menti. Questi sono i filoni più “all’avanguardia”, che tuttavia non tralasciano osservazioni filosofiche, come quando parlano dei disturbi psichiatrici come “modelli della realtà, ontologie alterne, curiosamente riconducibili a ontologie filosofiche” (T. Metzinger).

Ma partiamo da ciò che è ormai “classico”, ovvero dalla fenomenologia e dall’esistenzialismo di Maurice Merleau-Ponty (1908-1961).
Possiamo iniziare in sintesi dal concetto di Intenzionalità della Coscienza.

Per intenzionalità della coscienza si indica il fatto che la coscienza è sempre coscienza-di-qualcosa. Il concetto di intenzionalità ha radici nella filosofia di Aristotele ma è grazie a Brentano (1838-1917) che tale termine è stato ripreso dai moderni. Egli, rifacendosi agli scolastici medievali, sosteneva che i fenomeni psichici contengono in sé un oggetto intenzionale, che puntano / sono diretti a / vertono su / mirano a qualcosa che ci trascende. È importante tenere presente che tale oggetto può anche non esistere realmente, ma esistere solamente nell’intenzione; essere per l’appunto un oggetto intenzionale.
Nel momento in cui la nostra coscienza si rivolge a un oggetto, lo può fare in diversi modi. Si parla di relazioni intenzionali aspettuali (o prospettiche), per indicare che di un oggetto si è sempre coscienti in un particolare modo, sotto una certa prospettiva o punto di vista, o atteggiamento. Lo stesso oggetto non si presenta a noi nella sua interezza, ma nei limiti dati dalla nostra posizione nei suoi confronti e dalla particolarità dello sfondo sui cui esso si staglia come figura. Come fece notare Husserl, questa relazione intenzionale con l’oggetto (che è la materia intenzionale) è dunque profondamente influenzata dalla qualità intenzionale della nostra esperienza (desiderio, giudizio, dubbio, paura, ecc.). È proprio intenzionando gli oggetti che li dotiamo di significato.
«Se un essere è coscienza, è necessario che esso non sia altro che un tessuto di intenzioni. Se cessa di definirsi con l’atto di significare, questo essere ricade nella condizione di cosa, la cosa essendo appunto ciò che non conosce, ciò che riposa in una assoluta ignoranza di sé e del mondo […] Se non esiste più come coscienza, il malato deve esistere come cosa» (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, p.176).

Merleau-Ponty, nella sua filosofia esistenzialista, utilizza il concetto di mondo per esprimere la totalità in cui il soggetto è immerso e che il soggetto si dà. «L’essenza della coscienza è di darsi uno o più mondi, cioè di far essere di fronte a se stessa i proprio pensieri come delle cose, e comprova indivisibilmente il suo vigore delineando a se stessa questi paesaggi e abbandonandoli. La struttura mondo, con il suo duplice momento di sedimentazione e di spontaneità, è al centro della coscienza […]». (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, p.185).

Possiamo spingerci a dire che il concetto di mondo è profondamente legato con quello di “sguardo” in psicanalisi. Per sguardo si intende come vedo il mondo e come mi sento e mi vedo io rispetto al mondo, dunque rispetto agli sguardi degli altri, rispetto alle cose guardate dagli altri, dalla collettività, rispetto al mio stesso sguardo che passa attraverso questa grande lente plasmante costituita dallo sguardo più generale, che penetra e cesella tutte le cose e le rende oggetti. È uno sguardo che è ovunque, e non è esclusivamente la cultura. È una sorta di matrice della realtà. Questo sguardo più generale, interiorizzato a tal punto da sfuggire solitamente alla coscienza, ci colloca, ci dà un posto, ci soggettivizza e ci intenziona nel mondo.

Riportiamo un altro passo di Merleau Ponty, che rende bene l’idea della pervasività della struttura-mondo nella nostra esistenza:
«[…] La rimozione di cui parla la psicoanalisi consiste in questo, che il soggetto imbocca una certa strada – iniziativa amorosa, carriera, lavoro – che incontra una barriera e che, non avendo la forza di superare l’ostacolo né quella di rinunciare all’impresa, egli rimane bloccato in questo tentativo e impiega indefinitamente le sue forze a rinnovarlo nello spirito. Il tempo che passa non trascina con sé i progetti impossibili, non si richiude nell’esperienza traumatica, il soggetto rimane sempre aperto al medesimo avvenire impossibile, se non nei suoi pensieri espliciti, per lo meno nel suo essere effettivo. Fra tutti i presenti, un presente acquista dunque un valore d’eccezione: sposta gli altri e li destituisce dal loro valore di presenti autentici. Io continuo a essere colui che un giorno si è impegnato in questo amore da adolescente o colui che un giorno ha vissuto in questo universo famigliare. Percezioni nuove sostituiscono le percezioni trascorse e anche emozioni nuove sostituiscono quelle di un tempo, ma questo rinnovamento interessa solo il contenuto della nostra esperienza e non la sua struttura, il tempo impersonale continua a fluire, ma il tempo personale è imbrigliato. Naturalmente tale fissazione non si confonde con un ricordo, anzi esclude il ricordo, poiché esso dispiega innanzi come un quadro una esperienza trascorsa, mentre questo passato che rimane il nostro vero presente non si allontana da noi, si nasconde sempre dietro il nostro sguardo, anziché disporsi dinnanzi a esso. L’esperienza traumatica non sussiste a titolo di rappresentazione, nel modo della coscienza oggettiva e come un momento datato, ma le è essenziale sopravvivere solo come uno stile d’essere e in un certo grado di generalità. Io alieno il mio potere perpetuo di darmi dei “mondi” a beneficio di uno di essi, e con ciò stesso questo mondo privilegiato perde la sua sostanza e finisce per non essere più se non una certa angoscia. Ogni rimozione è quindi il passaggio dall’esistenza in prima persona a una specie di scolastica di questa esistenza, che vive su una esperienza trascorsa o piuttosto sul ricordo di averla avuta, poi sul ricordo di avere avuto questo ricordo e così via, di modo che, in definitiva, ne conserva solo la forma tipica» (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, p.131-132).

In diversi disturbi psichici, si ravvisa una frattura con il mondo, che Merleau-Ponty descrive come una non-incarnazione dei significati nel malato: «In complesso, il mondo non gli suggerisce più nessun significato e reciprocamente i significati che egli si propone non si incarnano più nel mondo dato. Diremo in breve che per il malato il mondo non ha più fisionomia […] Il pensiero altrui, non avendone egli l’esperienza immediata, non gli sarà mai presente. Per lui le parole altrui sono segni che vanno decifrati a uno a uno, anziché essere, come nel soggetto normale, l’involucro trasparente di un senso nel quale egli potrebbe vivere. Al pari degli eventi, le parole non sono per il malato il motivo di una ripresa o di una proiezione, ma solo l’occasione di una interpretazione metodica. Come l’oggetto, l’altro non gli “dice” nulla, e i fantasmi che gli si offrono sono privi non già di quel significato intellettuale che si ottiene con l’analisi, ma di quel significato primordiale che si ottiene con la coesistenza» (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, p.187-188).

Il suo insistere sul corpo e sul concetto di incarnazione trova corrispondenze nelle odierne neuroscienze, che stanno studiando le nostre capacità motorie in quanto primitivi semantici (sostanziali gli studi sui neuroni specchio), rivelando funzioni organiche che spiegano le dinamiche fra l’ “Io posso” di Husserl e l’ “Io penso” cartesiano.

In riferimento al corpo, Merleau-Ponty parla anche, e molto, della sessualità, e intende essa, l’eros, la libido, come animatori di un’intenzionalità che situa l’essere nei confronti del mondo: «Se la storia sessuale di un uomo fornisce la chiave della sua vita, è perché nella sessualità dell’uomo si proietta il suo modo di essere nei confronti del mondo, cioè nei confronti del tempo e degli altri uomini. All’origine di tutte le nevrosi ci sono sintomi sessuali: a leggerli bene, questi sintomi simbolizzano tutto un atteggiamento, sia, per esempio, un atteggiamento di conquista, sia un atteggiamento di fuga […] È fuori luogo sommergere la sessualità nell’esistenza, come se la sessualità fosse solo un epifenomeno. Proprio se si ammette che le disfunzioni sessuali dei nevrotici esprimono il loro dramma fondamentale e ce ne offrono come l’ingrandimento, rimane da sapere perché l’espressione sessuale di questo dramma è più precoce, più frequente e più vistosa delle altre, e perché la sessualità non è solo un segno, ma anche un segno privilegiato» (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, p.225-226).

Bibliografia:
– Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione (Studi Bompiani), Studi Bompiani, Milano, 2009; Opera originale: 1945.
– S. Gallagher, D. Zahavi, La mente fenomenologica. Filosofia della mente e scienze cognitive, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009.
– T. Metzinger, Il tunnel dell’io. Scienza della mente e mito del soggetto, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010.
– G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006.